L'UOMO SENZA PAURA
N° 56
(PARTE
SESTA)
Di Carlo Monni
1.
L’aereo atterra all’aeroporto internazionale
di San Francisco in perfetto orario o quasi.
Nessuno fa molto caso
alla coppia che esce dal terminal dei voli da New York, dopotutto perché
dovrebbero farlo? Cos’hanno di diverso dagli altri passeggeri? Lui indossa un
paio di comodi pantaloni, una camicia azzurra col colletto slacciato ed una
giacca sportiva, gli occhi sono coperti da occhiali a specchio, due riccioli
ribelli di capelli castani gli ricadono sulla fronte. Lei invece indossa un
sobrio tailleur scuro con gonna appena sopra il ginocchio, i capelli rossi sono
raccolti sopra la nuca e sugli occhi ha un paio d’occhiali con montatura in
acciaio. Sarebbe ingiusto, però, dire che nessuno li nota: sia l’uomo che la
donna si guadagnano qualche occhiata dai viaggiatori di passaggio.
Pochi minuti dopo i
due sono all’autonoleggio e la donna si pone alla guida di un’elegante Corvette
cabrio mentre l’uomo si siede al suo fianco. Poco dopo imboccano la Route 101,
diretti a Downton San Francisco.
La voce di Natasha è
sferzante mentre mi ripete per l’ennesima volta da quando siamo partiti:
-Mike Murdock? Sul serio Matt, potevi trovare un
nome migliore per viaggiare in incognito, così è come metterti addosso un
cartello con su scritto: sono Devil.-
Sorrido
mentre rispondo.
-Avevo pensato a Jack Batlin, ma mi evoca troppi
brutti ricordi. Comunque a volte per nascondersi basta mettersi in piena vista.
Non potevo venire qui come Matt Murdock, se Devil deve comparire. Se qualcuno
dovesse fare qualche ricerca, dirà: ecco con che nome ha viaggiato Devil… e
saranno anche convinti che sia uno pseudonimo abbastanza trasparente.-
-Se lo dici tu...- Natasha è poco convinta.
-E il nome che ti sei scelta tu, Nancy Rushman,
è stato per non cambiare i monogrammi sulle valigie?-
-È solo una delle tante identità di copertura
che ho mantenuto dai miei giorni di spia. Mantenere le iniziali è un vezzo.
Aiuta a memorizzarle meglio.-
Arriviamo
all’hotel che Natasha ha prenotato prima di partire e scopro che ci è stata
riservata una suite matrimoniale.
-E questa sarebbe la tua idea di mantenere un
basso profilo?- dico non appena siamo dentro la suite, in un salotto che da
solo conterrebbe facilmente tutto l’appartamento in cui sono cresciuto a Hell’s
Kitchen.
Natasha
sorride mentre la sento sciogliersi i capelli e sbarazzarsi della giacca.
-Mi piace trattarmi bene.- si giustifica –E poi…
puoi considerarlo un dono di un vecchio amico. Mi è stata recentemente
accreditata una somma considerevole, quindi perché non approfittarne?-
-Quella somma non ti resterà a lungo se continui
a spendere senza ritegno.-
-A volte sei davvero noioso, Matt… magari hai
ragione, ma sei noioso lo stesso. Non smetti mai di fare l’avvocato tutto d’un
pezzo?-
La
sento slacciarsi la camicetta e sganciarsi la gonna, e le sento tutte e due
cadere sul pavimento.
-Beh…- rispondo sogghignando -… ogni tanto mi
capita.-
Ora
è così vicina a me che il suo profumo mi inebria. Una tentazione irresistibile…
e davvero non ho alcuna intenzione di resistere.
-Abbiamo tempo per cominciare le indagini,
sussurra –Prima non credi che sarebbe meglio usare quel letto così invitante
per riposarci dalla fatica del viaggio… o per fare altro?-
-Direi… direi che è un’ottima idea.-
Le
nostre labbra si toccano e si allacciano in un lungo bacio… il resto è
facilmente intuibile.
Potrebbe sembrare un
qualunque ufficio di un dirigente di società commerciali, se non fosse per il
fatto che il dirigente in questione oltre ad un abito marrone chiaramente fatto
su misura non indossasse anche un cappuccio nero che ne copre tutto il volto.
Il nome con cui si fa chiamare potrebbe sembrare eccessivamente pretenzioso,
Signore del Crimine, ma sarebbe un grave errore sottovalutarlo.
In una poltroncina
d’angolo è seduta una giovane donna, dai corti capelli castani, un viso con
lineamenti che sembrano essere stati incisi nella porcellana ed un corpo da
urlo inguainato in un’aderentissima calzamaglia nera con decorazioni bianche.
Sul suo volto un’aria annoiata che non muta nemmeno quando nell’ufficio entrano
due tizi dall’aria poco raccomandabile ed evidentemente armati che spingono un
terzo uomo dall’aria spaventata.
-Ah, Joey… benvenuto tra noi.- dalla voce del Signore del Crimine
traspare una falsa bonomia mentre l’uomo viene fatto sedere a forza davanti a
lui –Mi è stato detto che chiacchieri troppo, Joey, e che ultimamente hai detto
cose che non dovevi, cose che sono arrivate alle orecchie della Polizia e a me
non piace che la Polizia sappia troppo dei miei affari, dovresti saperlo.-
-Io… io… non ho parlato con la Polizia, lo giuro.-
-Non lo sai che lo spergiuro è un peccato grave? Lo dice anche la
Bibbia e per i peccati gravi ci vogliono pene severe… miss Tremmore?-
La ragazza si alza e
senza fretta si avvicina alla scrivania.
-Pensa di essere in grado di infliggere al nostro Joey una lezione che
lo convinca a non essere più un chiacchierone… in modo permanente?-
Sulle labbra della
ragazza compare un sorrisetto insolente mentre i suoi occhi si accendono di un
lampo maligno.
-Niente di più facile.- risponde, poi si rivolge al malcapitato
–Guardami.-
L’uomo alza
istintivamente la testa e vede la ragazza mutare: il corpo diviene più grande,
la pelle assume un innaturale colore bianco, i capelli si allungano ed assumono
un colore rossastro ed il viso… il viso si deforma, non c’è più alcuna bellezza
in esso: è diventato un orribile teschio e gli occhi nelle orbite infossate
sembrano due braci. Gli uomini al suo fianco si ritraggono istintivamente con
in volto un’espressione a metà tra la paura ed il disgusto. Joey urla.
-Di cosa hai paura, Joey?- anche la voce della donna è mutata, ricorda
il rumore di unghie su una lavagna –Cosa ti fa davvero paura?-
Aracnofobia, la paura patologica dei ragni. L’uomo chiamato Joey cade sul pavimento agitandosi ed urlando frasi sconnesse. Nella sua mente vede decine, centinaia, migliaia di ragni che gli si attaccano addosso, lo ricoprono, gli camminano sopra e lo mordono iniettandogli il loro veleno. Il cuore gli batte nel petto come un tamburo, come se volesse uscire dalla cassa toracica. Urla ancora una volta e poi tace definitivamente.
Gli altri presenti nella stanza guardano il volto stravolto dal terrore dell’uomo appena morto e mentirebbero se dicessero di non essere scossi. Tutti... a parte la donna di nome Shock e forse il Signore del Crimine.
-Un lavoro all’altezza della tua fama… Shock.- commenta.
-È stato un piacere.- è la risposta, indifferente, della ragazza.
2.
Il Comandante Paul
Carson del Dipartimento di Polizia di San Francisco sembra immerso nel lavoro
quando faccio il mio ingresso nel suo ufficio.
-Dovresti stare
attento a lasciare le finestre aperte.- gli dico –Non si sa mai chi può
entrare.-
Lo sento voltarsi e guardare verso
me e Natasha che stiamo entrando.
-Devil… Vedova!-
esclama.
-È passato tanto
tempo, Paul.- gli dice Natasha avvicinandosi a lui –Ma spero che non ti
dispiaccia rivederci.-
-No di certo.-
replica Carson. Esita qualche istante, poi si china e la bacia sulle guance. Ho
sempre sospettato che avesse una cotta per Natasha e so bene quanto sia
difficile dimenticarla.
-Ho saputo della tua
promozione.- continua lei –Complimenti, è meritata.-
Paul accenna un sorriso.
-Dici? Dirigere la
task force anti supercriminali non è una passeggiata, credetemi. E poi c‘è chi pensa che ho ottenuto il posto non per la mia
esperienza con i superumani, esperienza che devo principalmente a voi due, ma
per le mie amicizie.-
-Parli del vecchio
Ironguts O’Hara?- intervengo -È ancora in giro?-
-È andato in pensione
un paio d’anni fa, poi il Sindaco gli ha chiesto di presiedere la Commissione
di Polizia, una decisione di cui deve essersi pentito perché il vecchio non si
piega ai giochi politici.- una pausa –Ma non è per chiacchierare con un vecchio
amico che siete venuti qui, dico bene?-
-Abbiamo bisogno del
tuo aiuto.- gli rispondo –Spero che non ce lo negherai.-
Gli racconto degli ultimi eventi a
New York, dello spettacolare furto alla Federal Reserve approfittando del
panico e della confusione creati da Mister Fear col suo gas della paura. Di
parecchie cose era già ovviamente al corrente, come chiunque nella Nazione del
resto.
-Una parte degli
uomini ingaggiati da Mister Fear…- spiego -… è stata reclutata qui a San
Francisco e dopo il colpo potrebbero essere tornati qui. Qualche idea su dove
cominciare a cercarli?-
-Il Signore del
Crimine.- risponde Carson.
-Cosa?- si lascia
sfuggire Natasha.
-Ne avrete sentito
parlare: è il principale boss della Baia, ha le mani in pasta in qualunque
attività illegale di San Francisco e delle zone vicine. Nessuno potrebbe aver
organizzato un affare così grosso da queste parti senza che lui ne sapesse
qualcosa. Naturalmente il difficile è trovarlo: nessuno sa chi sia e, diversamente
dal vostro Kingpin, non ha un indirizzo pubblico.-
Il Signore del Crimine, quello
originale, era un nemico dell’Uomo Ragno e a quello attuale pesta spesso i
piedi il Ragno Rosso. Chissà se Ben Reilly[1]
ne sa di più? Vorrei aspettare a coinvolgerlo, però. Avrà già le sue grane.[2]
Credo che si imponga una visitina
alle zone malfamate di Frisco.
Il signore del Crimine si aggiusta la cravatta e guarda verso Ariel
Tremmore, di nuovo in forma umana, rannicchiata in un’ampia poltrona.
-Ho una domanda da farti, mia cara Ariel… una domanda molto semplice:
sei tu Mister Fear?-
Ariel sbatte gli
occhioni mentre risponde:
-Io? Ti sembra che assomigli a mio padre, mio zio o a qualunque altro
uomo che ha indossato quel costume?-
-Indubbiamente no… ma un costume appropriato può nascondere
efficacemente le tue belle curve e tu avevi tutto da guadagnare da una simile
mascherata: avresti avuto un sacco di soldi ed avresti incastrato tuo padre
vendicandoti di lui.-
-Bella teoria, ma se fosse vera, perché sarei rimasta a New York a fare
la squillo? Perché sarei qui adesso invece che in un paese senza estradizione a
godermi quattro miliardi di dollari?-
-Giusta domanda. Io ne ho un'altra: come fai a sapere che l’accordo con
Mister Fear prevedeva che per riciclare il bottino io avrei preso il 60% del
suo valore nominale se non c’eri tu sotto la sua maschera?-
Ariel sorride.
-Forse ho dei buoni informatori, che importanza ha? Quello che so è che
tu sei in grado di far eliminare mio padre, anche se è in una prigione federale
dall’altra parte del paese ed io sono disposta a tutto pur di vederlo accadere
-A tutto?-
-A tutto.- ribadisce Ariel
Il Signore del Crimine
riflette in silenzio, poi chiede:
-Sai chi è il Punitore?-
-Anche i sassi sanno chi è.- ribatte Ariel.
-Tempo fa ha assalito un convoglio di tre camion che portavano parte
dell’oro e se l’è filata a bordo di uno di essi.[3]
Inutile dirti che ho fatto sparire gli altri due camion ed anche le vittime.
Quello che il Punitore mi ha preso non è più del 5% del… mio investimento, ma
la cosa mi secca lo stesso. Recuperalo ed avrai il 20% del valore del carico
mentre io mi occuperò del tuo caro paparino gratis.-
Ariel rimane
pensierosa per qualche secondo, poi risponde:
-Il 50% e l’affare è fatto.-
-Il 30 ed un bonus del 10% se riesci anche a far fuori il Punitore.-
-Ci sto.-
Sotto la maschera il
Signore del Crimine sorride soddisfatto.
Essere
un giornalista investigativo può dare molte soddisfazioni, ma anche altrettante
frustrazioni. Ho battuto tutte le piste solo per finire in un vicolo cieco dopo
l’altro. L’ultima spiaggia che mi rimane è l’uomo davanti a me: una vera leggenda vivente del
gangsterismo vecchio stampo di questa città. Il suo nome è Eric Slaughter ed
avrà almeno 70 anni, un uomo segaligno che si appoggia ad un bastone che avrà
come minimo una lama d’acciaio come anima. Dice di essersi ritirato, ma si può
davvero andare in pensione nel suo tipo di attività?
-Ben Urich!- mi
saluta con ostentata quanto finta cordialità –Che può fare questo umile vecchio
per il miglior giornalista della città?-
-Smettere di
prendermi in giro, tanto per cominciare.- ribatto.
OK,
forse non è l’approccio più felice con uno che potrebbe farmi ammazzare e
infilare nel primo pilone di cemento disponibile e poi spedire Candace Nelson
nell’harem di uno sceicco con un debole per le bionde solo schioccando le dita,
ma di questi tempi sono un po’ nervoso.
Slaughter
sorride. Mi chiedo se abbia mai riso in vita sua. Quando il tuo cognome
significa Massacro, forse non hai voglia di ridere troppo ma magari ti viene la
voglia di fargli onore.
-Lei sa benissimo
perché sono qui.- insisto.
Slaughter intreccia le mani davanti
al mento mentre risponde:
-Non ne so molto
più di lei sulle attività di Mister Fear… a parte che il bottino non è più a
New York, ma pensavo sapesse anche questo. Non è la ragione per cui il suo
amico Devil è a San Francisco con la Vedova Nera?-
Cosa potrei rispondergli? Ne sa
molto più di me e più di quanto è disposto a dire, ci scommetto. Quel che
aggiunge dopo me lo conferma:
Fossi in lei, Mr.
Urich, farei in modo di trovarmi nei pressi del Centro di Detenzione Federale
di Brooklyn prima di sera, potrebbe trovarci materia per la prima pagina del
Bugle di domani.-
Parla del luogo dove è detenuto Alan
Fagan, il presunto Mister Fear. Ci sarà un’evasione o… peggio?
3.
È passato molto tempo da quando abitavo a San Francisco, ma non
abbastanza da farmi dimenticare quali sono i quartieri malfamati della città e
così eccomi entrare in un bar della zona della Baia noto per essere un ritrovo
della malavita, un po’ come il bar di Josie a New York.
Nonostante anche qui comincino ad avere una certa familiarità con gli
eroi in costume, pare che il mio ingresso susciti un certo scalpore. Stando a
quel che mi comunicano i miei supersensi, il bar non è altro che un lungo
corridoio con il bancone che occupa la parete di destra per chi entra e le file
di tavoli lungo la parete di sinistra. Il posto è affollato e tutti gli
avventori si sono voltati verso di me. Odo i loro battiti cardiaci aumentare,
sento i loro respiri diventare affannosi, percepisco il puzzo del loro sudore e
l’odore di profumi e dopobarba da quattro soldi misti ad altri odori più
sinistri… come quello dell’olio usato per lubrificare la canna di una pistola
seguito dal rumore dell’arma che viene cautamente estratta da una tasca.
-Non pensare nemmeno
di provarci.- dico con voce ferma rivolto all’uomo che sta estraendo la pistola
–Non ci riusciresti mai.-
L’uomo esita, soppesa i rischi ed
alla fine decide che sto parlando sul serio ed allenta la presa sull’arma.
Mi rivolgo ai presenti:
-Immagino che mi
abbiate riconosciuto, ma per quei pochi che in questi ultimi anni fossero
vissuti in un’isola deserta mi presento: sono Devil e sto cercando
informazioni. Se le avrò, nessuno si farà male ma se mi costringete a tirarvele
fuori con le cattive… beh le cose potrebbero prendere una piega diversa.-
-Pensi di farci
paura?-dice uno degli avventori alzandosi in piedi.
Crede che non mi sia accorto del
tipo armato di coltello che sta alle mie spalle, ma non sa che il suo respiro è
come un mantice per me e che ho sentito il rumore che ha fatto la lama quando è
stata estratta.
-A dire il vero…-
rispondo -… un po’ sì.-
Mi muovo rapidamente e sferro una
gomitata al setto nasale del tipo alle mie spalle rompendoglielo, poi lo
afferro al polso destro e glielo torco costringendolo a mollare il coltello,
poi lo spingo contro il tizio davanti a me che aveva estratto una pistola.
Si scatena una rissa, ma in quel piccolo spazio sono io ad essere
avvantaggiato grazie anche ai miei supersensi.
Nella confusione sento che uno degli avventori sta cercando di fuggire
dalla porta di servizio. Faccia pure, lo attende una bella sorpresa.
L’uomo scappa dal retro del locale, ma è
appena uscito, che un piede gli fa lo sgambetto facendolo cadere a terra. Non
fa in tempo a cercare di rialzarsi che un braccio femminile gli cinge il collo
e qualcosa di metallico gli sfiora la nuca.
-Chi l’ha inventato l’ha chiamato “Morso di Vedova”.- dice, con tono
tagliente, una voce femminile –Una scarica elettrica in stile taser. A questa
distanza ed all’intensità a cui l’ho regolato è sicuramente mortale.-
-Tu…- balbetta l’uomo. Tu non… non…-
-Non ti ucciderò… è questo che pensi? Lascia che ti chiarisca una cosa:
io non sono una supereroina con le sue remore morali. Mi chiamano Vedova Nera e
c’è un motivo. Facciamo un patto: tu mi dici tutto quello che sai su un certo
carico d’oro ed io non ti uccido. Mi pare uno scambio equo, che ne dici?-
Pochi minuti dopo, la
Vedova Nera spinge l’uomo di nuovo dentro il locale dove nel frattempo Devil si
è sbarazzato di tutti i suoi aggressori.
-Il nostro amico qui ha una bella storia da raccontare.- gli spiega
Natasha –Ti va di sentirla?-
-Molto volentieri.- risponde Devil accennando un sorriso.
Dakota North apre gli
occhi.
-Dove… sono?- mormora.
Linda Carter,
infermiera del turno di notte, la sente e quando entra nella stanza, la vede
mentre cerca di alzarsi dal letto arrivando appena in tempo per sorreggerla
prima che cada.
-Stia calma, Miss North…- le dice -… è stata in coma per un paio di
giorni.-
La rimette a letto e
Dakota chiede:
-Cosa mi è successo?-
-Non se lo ricorda?-
-Ero andata da… da una ragazza e poi… poi…-
-Non si affatichi, pensi a riposare… ci penserà domani.-
Riposare… Dakota non è
affatto sicura di riuscirci.
4.
Il vero problema quando si compie un furto grosso come quello alla
Federal Reserve di New York è la logistica: è molto difficile passare
inosservati quando si deve trasportare l’equivalente in oro, contanti e titoli
di dieci miliardi di dollari. Il problema più serio sono i lingotti,
ovviamente: molto pesanti ed ingombranti e difficili da piazzare. Un gioco da
ragazzi, però, per il Signore del Crimine, ma anche uno come lui può commettere
un errore ed il suo era stato farsi fregare un camion pieno d’oro dal Punitore.
Gira voce che il camion sia stato abbandonato in un magazzino della zona del
porto. Anche un bambino capirebbe senza troppa difficoltà chi ha fatto
circolare quella voce, ma l’esca è troppo appetitosa per non ingoiarla e così
anche io e la Vedova Nera ci dirigiamo in zona.
Siamo sul tetto di un piccolo
edificio del porto quando sento la voce di Natasha alle mie spalle:
-Matt!-
La voce le si spezza in gola. La
sento perdere l’equilibrio e cadere urlando. Il suo profumo naturale è
sovrastato da un altro che conosco bene.
Mi tuffo dietro a lei e riesco ad
afferrarla alla vita mentre fermo la caduta col cavo del mio bastone, poi salto
a terra e la poggio delicatamente al suolo.
Con gentilezza mi rivolgo a lei:
-Natasha…-
Lei scatta urlando:
-Stammi lontano! Io
faccio solo del male agli altri. Tutti quelli che amo o che mi amano soffrono.
Io porto sfortuna.-
È il potere di Shock a farla parlare
così: amplifica le paranoie di chi le sta vicino, il che vuol dire che lei è
qui, da qualche parte. Ora non posso occuparmene. Afferro Natasha e
l’abbraccio.
-Calmati, Natasha.-
le sussurro –Non c’è nessuna maledizione. Io sono qui con te e tu non mi
faresti mai del male, lo so.-
-Che spettacolo
patetico.-
La voce di Shock mi fa lo stesso effetto del gesso che
stride su una lavagna. L’ho sentita arrivare da un po’ ma ho fatto finta di
niente sperando di attirarla allo scoperto.
-Che sorpresa,
Shock.- le dico –Non ci vedevamo da tempo… o forse no.-
-Anche tu pensi
che potessi essere io a travestirmi da Mister Fear?-
-Perché no? Poteva
essere un modo per fare un sacco di soldi e contemporaneamente vendicarti di
tuo padre.-
-Non parlarmi di
lui… è lui il vero bastardo tra noi due.-
-Oh… lo credo… lo
credo senza riserve.-
La sua vicinanza fa impazzire i miei
sensi. Nella mia mente “vedo” mio padre abbattuto da un killer per non aver
voluto truccare un match di boxe, Elektra trafitta dalla sua stessa katana per
mano di Bullseye, quello stesso Bullseye che squarcia il collo della mia amata
Karen e poi Heather Glenn che si impicca in casa sua, Glorianna O’Breen gettata
da una finestra da uno psicopatico. Sbagliavi Natasha: sono io che porto
sfortuna a chi mi ama.
No… fermo: sono i feromoni della
paura emanati da Shock a farmi questo. Devo riuscire a riprendere il controllo.
Non è difficile, posso riuscirci: è solo questione di volontà… solo questione
di volontà.
La Vedova Nera annaspa e crolla in ginocchio. Lei è davvero come
l’animale di cui porta il nome: uccide chi la ama. Non può permettersi di avere
sentimenti per nessuno: i sentimenti feriscono, portano dolore.
Sente qualcuno
scuoterla. Oltre il velo della sua paura lo riconosce: è Matt, Matt Murdock,
Devil. Le dice parole tenere, cerca di calmarla e lei sente che il cuore
rallenta, il respiro si fa meno affannoso… poi lui la lascia di colpo... c’è
qualcun altro con loro: una donna dalla voce stridula.
Natasha apre gli occhi
e la vede: una donna che indossa una tuta nera ed ha il volto simile ad un
teschio deformato. Avanza verso Devil, che barcolla portandosi le mani alla
testa. Borbotta qualcosa, ma l’unica cosa che la Vedova riesce a distinguere è
un nome: “Karen”.
Quella sgualdrina sta
facendo rivivere a Matt i peggiori momenti della sua vita, pensa Natasha, devo
fermarla.
Ora è di nuovo
perfettamente lucida e sa esattamente cosa deve fare. Shock le volta le spalle,
è concentrata su Devil e non la sta considerando: grave errore.
La Vedova si alza di
scatto e colpisce la sua avversaria alla base del collo con il taglio della
mano.
Katherine Malper, Vice
Procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Sud dello Stato di New York è
nel suo ufficio e sta riflettendo.
In molti la
definirebbero una bella donna, anche se ama vestirsi da maschiaccio e portare
un cappello da baseball dei Red Sox, uno dei pochi ricordi di Boston che
conserva. Anche adesso che è responsabile della Divisione Penale non ha
cambiato stile e di quello che pensano gli altri non le importa granché. Beh
magari le piacerebbe conoscere l’opinione che ha di lei il vigilante chiamato
Devil, ma quella è un’altra storia.
Ora, pensa, è meglio
che si concentri sul processo ad Alan Fagan, Mister Fear. Sembra un caso molto
solido, anche se la refurtiva non è stata ancora recuperata, ma Matt Murdock è
un difensore da non sottovalutare. Chi l’ha fatto, come la sua amica Maxine
Lavender della Procura Distrettuale di Manhattan, ha avuto modo di pentirsene.
Uno dei suoi
assistenti entra nel suo ufficio trafelato.
-Signora… miss Malper…-
-Che c’è Andrews?- chiede, un po’ seccata, Kathy.
-È… è scoppiata una rivolta nel carcere federale di Brooklyn.
Fagan, pensa Kathy
Malper, c'è di mezzo lui sicuramente.
5.
Diario di guerra del
Punitore. Quando ho lasciato trapelare le voci sul
nascondiglio del camion che ho rubato al Signore del Crimine, sapevo che
avrebbe mandato qualcuno a recuperarlo e contavo di seguirlo finché non mi
avesse portato al rifugio segreto di quel bastardo per chiudere i conti con lui
una volta per tutte. Non avevo calcolato l’interferenza di qualche benefattore
in costume. Ultimamente ce ne sono fin troppi a San Francisco e non avevo certo
bisogno che si mettessero di mezzo Devil e la Vedova Nera direttamente da New
York.
Sembrerebbe che se la siano passata
male contro quella tipa in costume nero. Il mio database la identifica come
Shock, figlia dell’ultimo Mister Fear conosciuto. Cosa ci fa qui: vuole l’oro
per sé o l’ha mandata il Signore del Crimine oppure qualcun altro ancora? Poco
importa: ho la sua testa nel mio mirino, in pochi secondi ci sarà in giro una
supercriminale in meno.
Premo il grilletto ed il proiettile
parte. Improvvisamente Devil entra nel mio campo visivo. Che intende fare? Si
prenderà il colpo destinato alla ragazza, non è quello che volevo, ma è troppo
tardi ormai, maledizione.
Cosa vuol fare con quel bastone? Non
può riuscirci… o sì?
Mi si schiarisce la mente appena in tempo per
rendermi conto che Natasha ha abbattuto Shock, ma che il suo fisico mutato ha
fatto sì che la nostra avversaria, sia pure a terra, non sia svenuta. Mi chino
su di lei e le parlo:
-Ariel… perché sei qui? Cosa sai del furto di
Mister Fear?-
-Vai… al diavolo.- mi risponde.
-Ci sono stato… e non mi è piaciuto… e non
piacerebbe nemmeno a te.-
M’interrompo
di colpo. Un rumore familiare mi arriva alle orecchie. Non ho tempo da perdere:
in un attimo valuto le distanze, la direzione del vento ed altro ancora. Ho un
solo tentativo a disposizione, non posso permettermi di fallire.
Il
mio bastone intercetta il proiettile e lo ribatte indietro.
-Devil…- esclama la Vedova Nera –Tutto a posto?-
-Cecchino, lassù.- le indico il posto esatto –Il
bersaglio era Shock. Bada a lei.-
Non
le do il tempo di replicare e lancio il mio cavo per poi saltar via. Dubito che
il cecchino sia rimasto ad aspettarmi, ma non mi sfuggirà lo stesso.
Willie Lincoln riflette: ogni indizio da lui
raccolto finora sembra inevitabilmente portare alla famiglia Cranston. Se
Mister Fear non è Alan Fagan, è comunque uno che lo conosce bene, qualcuno che
voleva incastrarlo e se questo fosse vero, il vero colpevole sarebbe ancora in
libertà e la cosa per lui è intollerabile. Lui stesso è stato vittima di un
errore giudiziario e sa cosa vuol dire essere incastrati per un crimine che non
si è commesso, Fagan è un individuo spregevole che merita la galera per molti
altri motivi, ma se in questo caso è innocente…
-Ehi, Lincoln.-
Willie riconosce la
voce che ha appena interrotto il flusso dei suoi pensieri.
-Detective Leary…- dice rivolto al nuovo venuto -… che ti porta qui?-
-Secondo te che ci fa un poliziotto irlandese in un pub frequentato da
poliziotti… ed ex poliziotti come te?- risponde il detective Bucko Leary.
-Toccato.- replica Willie sorridendo –Vuoi una birra?-
-Ne ho già una…ma scommetto che già lo sai.-
-In effetti ne avevo già sentito l’odore. Hai novità sul caso Govich?-
-Nulla di particolare, ahimè. Niente che lo colleghi a Mister Fear.
Stiamo seguendo la pista dell’esplosivo. Speriamo ci porti da qualche parte.-
-Ultimamente ti capitano casi tosti. Non sei stato tu a seguire il caso
di quello stalker che aveva rapito quella giornalista, Linda Scott?-[4]
-Tutto il lavoro l’ha fatto Devil, io mi sono limitato a mettere le
manette a quello svitato.-
-E ti pare poco? Sei diventato famoso. La Scott sta scrivendo un libro
e pare ne tireranno fuori una serie TV… che io non potrò seguire, ovviamente-
Leary sorride.
-Forse sei fortunato, stavolta.-
6.
Diario di guerra del Punitore.
Non ci avrei creduto se non l’avessi visto con i miei occhi: Devil ha respinto
la pallottola col suo bastone ed ora sta venendo da me. Sono contento che non
sia morto, è un liberale dal cuore tenero, ma è pur sempre uno dei buoni ed io
uccido solo quelli che se lo meritano.
Prima che possa andarmene, lui mi è già
addosso.
-Punitore.- grida
–Dovevo immaginare che c’eri di mezzo anche tu.-
Potrei sbarazzarmi di lui abbastanza
facilmente se volessi ucciderlo, ma non posso. Accidenti a lui ed a quelli come
lui: non riescono a capire che i loro metodi non funzionano. Almeno io sistemo
i criminali permanentemente.
Il momento di esitazione mi è fatale:
il bastone di Devil mi disarma e poi torna nelle sue mani .
-Arrenditi,
Castle.- mi dice –Non hai scelta.-
Non gli rispondo e salto giù a terra.
Faccio pochi metri e lui mi aggancia col suo cavo. Cado e lui mi è addosso. Gli
sferro un calcio e lui lo evita di misura. Nel frattempo mi sono liberato del
suo cavo e mi sono rialzato. Qualsiasi mossa faccia, però, lui riesce ad
anticiparla e pararla. Comincio a credere che perderò questo scontro.
Maledizione.
-Lascialo andare
Devil.- la voce della Vedova Nera giunge, sferzante, a bloccare le nostre
azioni mentre lei si frappone fra noi due.
-Perché dovrei
farlo, Natasha?- chiede Devil.
-Perché lui mi ha
salvato la vita, tempo fa[5]
ed ora voglio saldare il mio debito.- risponde lei.
Devil esita: la cosa non gli piace per
niente, è ovvio, ma non vuole combattere contro la sua compagna.
Approfitto dell’occasione per scappare
ed in pochi minuti sono a bordo del mio furgone e sulla rotta per il mio
rifugio locale. Avrò altre occasioni per chiudere la partita col Signore del
Crimine ed i suoi scagnozzi senza buffoni i costume tra i piedi.
Sento l’intensità dello sguardo di Natasha su di me, mentre mi dice:
-Mi dispiace, Matt.-
-Anche a me, Tasha. Hai lasciato andare un assassino.-
-Un assassino di criminali.- replica la Vedova Nera.
-Non importa: non sta a lui decidere chi merita di morire. Abbiamo un
sistema giudiziario per questo.-
-A volte, Matt, mi sembri davvero un ingenuo.-
Questa discussione non
ci porterà da nessuna parte, lo so, inutile proseguirla.
Sento un debole lamento provenire da Shock e volto
la testa verso di lei. Prima di raggiungermi Natasha l’aveva di nuovo stordita
e poi legata strettamente con uno dei suoi cavi, ora si è ripresa ed è anche
tornata normale: è solo Ariel Tremmore adesso.
Ancora una volta sento compassione per lei, la sua
vita poteva essere diversa, ma ha permesso al suo odio di scegliere per lei ed
ora non è migliore del padre che l’ha abbandonata. Probabilmente Natasha non mi
capirebbe
-Dovremo fare due chiacchiere Ariel.- le dico.
-Da me non saprai nulla.- ribatte lei con astio.
Mentre parlavamo,
Natasha ha fatto un paio di telefonate ed entro poco tempo ecco arrivare dei
veicoli e da uno di esse scende un uomo di cui riconosco immediatamente il
battito cardiaco e la lozione dopobarba.
-Piacere di rivederla O’Hara... ne è passato di tempo.-
-Forse non abbastanza.- borbotta Ironguts O’Hara –Che avete combinato
stavolta tu e la tua donna?-
-Non molto, lo ammetto… a parte catturare una supercriminale fuggitiva
ed un camion pieno d’oro che quasi certamente è parte del bottino della rapina
del secolo.- ribatto con un sorriso.
-Ed io non sono la sua donna.- precisa Natasha.
O’Hara borbotta
qualcosa di inintelligibile. Paul Carson si fa avanti e mi sussurra
all’orecchio:
-Ero a cena col vecchio quando mi è arrivata la telefonata di Natasha e
non sono riuscito ad impedirgli di accompagnarmi. Non è il tipo da stare nelle
retrovie.-
-E così questa è Shock…- commenta O’Hara -… non sembra molto pericolosa.-
-Liberami le mani e vedrai quanto so essere pericolosa, vecchio.-
ribatte Ariel.
-Temo di non poterle fare questo favore, Miss Tremmore –replica Paul,
poi si rivolge ai suoi uomini –Portatela via: c’è un giudice che non aspetta
che di vederla domattina.-
Ariel Tremmore è
caricata a forza su un furgoncino mentre altri agenti aprono il magazzino e
controllano il camion pieno di lingotti d’oro.
-Mio Dio.- si lascia sfuggire Carson –Ma quanto sarà?-
-Abbastanza da pagarti lo stipendio per diverse vite.- replica O’Hara
–E da quanto ho capito, all’appello ne manca ancora parecchio.-
-Dovremo portarlo alla centrale e organizzare dei turni di guardia
finché non lo prenderà in carico la Federal Reserve… se è davvero il loro oro.-
commenta Paul e fa una serie di rapide telefonate, poi si volge verso di me e
Natasha -Volete un passaggio fino in centro?-
È la Vedova a
rispondere per prima.
-Personalmente accetto molto volentieri, Paul.-
Accetto anch’io.
Durante il viaggio di ritorno Natasha e Carson chiacchierano. Io penso ad
altro: a Dakota North delle cui condizioni di salute è proprio Shock la
responsabile e di cui non so nulla da 24 ore e al mistero di Mister, che forse
è più vicino ad una soluzione.
Il Centro di Detenzione Federale di Brooklyn
non è diverso da tanti altre carceri e non è nemmeno particolarmente
pericoloso: le rivolte sono rare, ma stanotte ne è scoppiata una.
Appena ricevuta la
notizia Kathy Malper vi si è subito precipitata scortata da un agente del
F.B.I. e da uno del F.B.S.A. Grazie al suo ruolo non ha avuto difficoltà ad
entrare.
Pochi minuti ed è
nell’ufficio del direttore.
-Cosa diavolo è successo?- chiede senza mezzi termini.
-C’è stato… un tentativo di uccidere Alan Fagan.- spiega l’uomo.
-Chi è stato?-
-Uno degli altri detenuti ha tentato di accoltellarlo, ma Fagan è stato
più rapido di lui… poi c’è stata una rissa e…-
Non termina la frase,
la porta del suo ufficio viene buttata giù a calci e nel vano appaiono le
minacciose figure di un gruppo di detenuti nella tradizionale divisa arancione.
Kathy Malper deve solo
guardarli per capire che i suoi guai sono appena cominciati.
FINE SESTA PARTE
NOTE DELL’AUTORE
Poco
da dire, quindi non perdiamo tempo:
1)
Credo
di non dovervi spiegare chi è il Punitore, mi limiterò quindi, a segnalare a
chi non lo sapesse che da qualche tempo è in trasferta a San Francisco dove
appare saltuariamente nella serie del Ragno Rosso.
2)
Appaiono
qui due personaggi che sono stati creati proprio sulla serie di Devil nel
lontano 1972 da Gerry Conway & Gene Colan. Robert O’Hara si inserisce nel
fortunato filone dei capi burberi ma dal cuore d’oro ed anche in quello,
altrettanto tipico, dei poliziotti di origine irlandese. Per quanto dia mostra
di non apprezzare i supereroi, si è ritrovato imparentato con due di loro, sia
pure sui generis. È, infatti, lo zio paterno di Shanna la Diavolessa, che a sua
volta è sposata con Kevin Lord Plunder, alias Ka-Zar. Paul Carson, allora
tenente ed oggi Comandante (grado che nella Polizia di San Francisco è
immediatamente superiore a quello di Capitano), è invece il classico poliziotto
idealista. Entrambi appaiono saltuariamente in MIT su Marvel Knights e Ragno
Rosso.
Vi piacciono i drammi
carcerari? Se la risposta è sì, non mancate al prossimo episodio. Nel frattempo
non mancate nemmeno di seguire le peripezie del nostro eroe anche su Daredevil
#4 dell’ottimo Mr. T.
Carlo